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Salute e Benessere
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Sabina Berretta: “bidella” mancata in Italia, direttrice ad Harvard

15 Marzo 2017
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Sabina Berretta: “bidella” mancata in Italia, direttrice ad Harvard

Premessa l’ovvia considerazione che prevede ogni impiego professionale onesto egualmente dignitoso, risulta evidente che intraprendere un lungo e complesso percorso di studi dovrebbe, in linea meramente teorica, garantire l’accesso ad un impiego correlato alle competenze acquisite, dato che una società complessa non sa generalmente che farsene di bidelli laureati in biologia o di architetti relegati in un call center.

Emblematica della scarsa lungimiranza tutta italiana e di quell’assenza di opportunità professionali destinata a tradursi nell’ormai proverbiale “fuga di cervelli” dal nostro Paese, la vicenda di Sabina Berretta narra al meglio le gesta di in un’illustre scienziata costretta dapprima a ripiegare in direzione di una professione assolutamente non in linea con le sue reali competenze ed in seguito destinata ad una solenne ascesa accademica Oltreoceano, secondo gli schemi quasi fiabeschi di una storia segnata da caduta e riscatto.

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Dopo aver conseguito con il massimo dei voti una laurea in neurologia ed aver invano cercato di accedere alle porte chiuse di un ateneo, Sabina aveva infatti deciso di presentarsi alle selezioni di un concorso pubblico finalizzato all’assunzione di un bidello presso lo stesso ateneo siciliano dove le sarebbe piaciuto insegnare, non riuscendo, tra l’altro, a raggiungere nemmeno la posizione lavorativa che aveva il sapore di un solenne ripiego.

Senza cadere vittima dello sconforto, Sabina Berretta ha preso il suo bagaglio di conoscenza e l’ha portato negli Stati Uniti, dove le porte della carriera universitaria si sono (quasi immediatamente) dischiuse e dove una specializzazione al Mit di Boston le ha consentito di farsi notare presso il Brain Tissue Resource Center ad Harvard, del quale Sabina è oggi direttrice.

Recentemente intervistata da Repubblica, la brillante ricercatrice italiana coordina oggi uno staff composta da 17 medici e si trova costretta paradossalmente a ringraziare una società complessa spesso talmente ottusa da non riuscire a comprendere come ogni percorso di studi risulti funzionale al conseguimento di un’occupazione professionale e come inserire ogni “tassello” al posto sbagliato non giovi a nessuno.

 

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