Probabilmente non esiste in Italia un tema più annoso e dibattuto di quello che riguarda laresponsabilità civile di determinate categorie professionali e che porta il cittadino ad perdersi in un labirinto burocratico ogniqualvolta subisce un danno e deve capire a chi, come e quando chiedere un risarcimento di tipo economico o morale.
Se sul versante legato alla magistratura, ministeri, partiti e funzionari si trovano intenti a fronteggiarsi su un terreno talmente spinoso da risultare quasi ad personam, la Corte di Cassazione ha deciso di tagliare la testa al metaforico toro in ambito sanitario, stabilendo come un paziente danneggiato dalle errate diagnosi emesse dal suo medico di base possa rivalersi sull’Azienda Sanitaria Locale di riferimento.
Tramite una sentenza destinata a rappresentare un precedente e il metro di giudizio per verdetti analoghi, lo scorso 27 Marzo la Cassazione ha infatti disposto a disposto un risarcimento pecuniario a seguito di un caso di malasanità che aveva condotto alla morte di un pensionato, originata a partire da una serie di diagnosi erronee.
La vicenda, iniziata nel 1997 aveva visto l’uomo di 58 anni rivolgersi al proprio medico di base a seguito di unmalore alla testa diffusosi rapidamente nella parte sinistra del corpo; dopo un giorno di attesa il medico aveva prescritto al paziente una terapia a base di ansiolitici, non riconoscendo la possibilità di un’ischemia cerebrale (poi concretizzatasi) ed attribuendo il malore a cause banali quanto transitorie.
A seguito di un aggravarsi del quadro sintomatologico, il pensionato viene trasportato in ospedaledove riceve la diagnosi di ischemia cerebrale che lo porterà a subire un calvario sanitario durato oltre 14 anni e conclusosi con la morte del degente in data 6 marzo 2011.
Dopo tre gradi di giudizio e numerosi cambi di rotta relativi alle responsabilità dell’Asl e del medico di base, la Cassazione ha infine accolto il ricorso dei familiari della vittima e convalidato la tesi della duplice responsabilità di medico e Azienda, costringendo le parti ad un cospicuo risarcimento per il danno procurato.
L’unica postilla ala triste vicenda è rappresentata dal fatto che il processo in sede civile era iniziato nel lontano 2002 e che, trovandoci oggi nel 2015, si imporrebbe rapidamente un riforma delle tempistiche processuali in grado di rendere il dibattitto annoso almeno quello riguardante le effettive responsabilità civili.
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