Risulta evidente a chiunque che, qualora si desideri mettere in atto una petizione online o proporre una sorta di virtualissimo referendum attraverso la Rete, è necessario procedere ad una raccolta di dati personali relativa agli aderenti, di modo da non far apparire il numero delle firme digitali come falso o artefatto in modo da promuovere cause in realtà supportate da un numero molto più esiguo di utenti.
Pioniere e assoluto leader di settore delle battaglie digitali dedicate a tematiche della più disparata natura, il sito Change.org avrebbe tuttavia deciso di eccedere nello zelo necessario alla raccolta di dati sensibili dei suoi utenti, andando a cozzare palesemente con quelle normative nazionali ed internazionali che regolano il diritto alla privacy degli internauti e che impediscono a siti di qualunque natura di impiegare il materiale recuperato per scopi differenti da quelli proposti in fase di richiesta.
Secondo il Garante della Privacy, il sito Cahnge.org effettuerebbe infatti raccolte di dati senza specificare la natura della richiesta e senza fornire ai suoi utenti le specifiche necessarie a quel consenso informato che regola il trattamento dei dati e che impedisce, ad esempio, che la raccolta di trasformi in un’operazione pubblicitaria mirata o che i responsabili del sito forniscano indirizzi e-mail e numeri di telefono a terzi per oscure modalitÃ
Per questa precisa ragione, è stata recentemente aperta un’istruttoria attraverso la quale il Garante mira in modo esplicito ad obbligare il sito Change.org ad una gestione più trasparente dei dati e ad informare chiunque desideri aderire ad una determinata petizione su come, dove, quando e perché verranno eventualmente impiegati generalità e recapiti forniti al momento della firma virtuale.
La misura sorge sulla scia di una recente serie di inchieste giornalistiche che aveva mostrato come le petizioni online possano rapidamente trasformarsi un un business su scala planetaria, data la facilità di ottenere indirizzi e-mail e la successiva possibilità di inserirli all’interno di database dedicati alle newsletters a spese dell’ignaro utente, convinto di lasciare le sue generalità per un giusta causa e per non fare apparire il numero degli aderenti come fasullo o artefatto.
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