La recente crociata contro olio di palma, glutine, lattosio e altri nutrienti assolutamente innocui per la salute umana (fatta eccezione per gli effettivi casi di intolleranza individuale), ha focalizzato l’attenzione del grande pubblico sugli ingredienti in quanto tali, facendo un po’ perdere di vista quella componente legata alla qualità che da sola garantisce la genuinità dell’alimento e in assenza della quale ogni piatto potrebbe trasformarsi in una fonte di intossicazione, a prescindere da oli di palma, di oliva o di girasole.
A risvegliare l’Italia dalla spirale paranoica nella quale pare precipitata, ci stanno pensando una serie di tristissimi casi di cronaca volti a mostrare come la scarsità di controlli e misure igieniche di base rappresenti un reale pericolo per la salute umana, molto più di quanto non lo siano i sopracitati ingredienti, entrati in una sorta di black list più per ragioni mediatiche che non strettamente alimentari.
Se tutte le frodi e le artefazioni alimentari risultano già gravi e ingobili di loro, esistono casi limite in cui l’umana indecenza si spinge in direzione di limiti estremi, come recentemente accaduto nei pressi di Napoli, dove un gruppo di alunni di una scuola elementare è caduto vittima di un’intossicazione prodotta a partire dalla presenza di escrementi rintracciati nei pasti che venivano serviti alla mensa scolastica.
Il triste episodio ha avuto luogo in una scuola di Napoli, dove oltre 80 bambini hanno accusato un quadro sintomatologico comprensivo di vomito e diarrea, dopo aver mangiato alla mensa lo scorso 9 maggio e dove le unità di indagine della Asl 1 locale ha stabilito che i pranzi incriminati contenevano elevate tracce di Bacillus cereus e colibatteri, microrganismi palesemente riconducibili alla presenza di materiale fecale nel cibo.
In attesa che le indagini chiariscono a fondo le responsabilità dell’accaduto e si traducano nelle doverose sanzioni del caso, l’episodio mostra ancora una volta come la continua lettura della lista degli ingredienti risulti un mero esercizio intellettuale fine a se stesso, in assenza di quella qualità che da sola stabilisce se un alimento può venire considerato sano oppure nocivo.
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