Dopo che i Simpson avevano timidamente sondato il terreno per qualche anno, il geniale Seth McFarlane comprese che si poteva dare vita ad una lunga serie di cartoni animati, esplicitamente “politically uncorrect”, in grado di appassionare tanto un pubblico infantile, per via delle divertenti vicende narrate, quanto uno spiccatamente adulto, in grado di cogliere le allusioni di natura sociale, sessuale ed etnica presenti nella narrazione.
Dopo aver conquistato il mondo con i Griffin e American Dad, Seth McFarlane sta ora per lanciare una nuova serie animata, andando tuttavia ad impiegare la sua proverbiale scorrettezza in funzione marcatamente sociale e cercando di stanare pregiudizi e discriminazioni presenti in un’America sempre più distante dal Messico e sempre più volenterosa di confinare i Latinos all’esterno di un ipotetico muro della discordia.
Ambientata nell’immaginaria cittadina di confine Mexifornia, Bordertown impiega l’infinita serie di luoghi comuni sui pregiudizi culturali a Stelle e Strisce per mettere in scena una rievocazione goliardica di Romeo e Giulietta che mette nel mirino Donald Trump e la sua campagna elettorale incentrata sulla paura del diverso e sulle volontà di autosegregazione di un’America in formato fortezza, pronta a declinare il ruolo di “gendarme del mondo” per concentrarsi sulla sua sicurezza interna.
Riproponendo lo schema legato all’incontro tra due culture diverse e apparentemente ostili, rappresentate dai personaggi di Bud ed Ernesto, la serie riesce a ripercorrere tutte le tematiche legate alle paure americane legate ad invasione e narcotraffico senza mai eccedere nel gusto e mostrando come il politically uncorrect a tutti i costi possa anche assumere una valenza squisitamente umana e sociale.