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Red Hot Chili Peppers in Italia: non chiamateci vecchie glorie

Mentre al Desert Trip andava in scena l’esibizione dei mostri sacri del rock, con Bob Dylan, Neil Young, gli Stones, Roger Waters e Paul McCartney intenti a dividersi un palco lungo tre giorni e mezzo secolo di storia, l’ovvia catalogazione di “vecchie glorie” è suonata un po’ stretta a quei Red Hot Chili Peppers che, dall’alto dei loro 50 anni, si considerano a ragion veduta alla stregua di una band in piena attività e lontana dai fasti di quei simpatici 70enni che hanno illuminato durante lo scorso fine settimane il Coachella

In concomitanza con la prima data italiana del tour di supporto al nuovo disco The Getaway, il complesso californiano ha infatti dato prova di un vigore e di una capacità di “tenere il paco” degna di un gruppo emergente e affermato senza mezzi termini, nel corso di una recente intervista al Corriere della Sera, come la prosecuzione della loro trentennale carriera non sia una mera operazione di marketing o il reflusso di fasti ormai passati, ma il naturale proseguimento di un discorso musicale che implica e prevede un quantitativo di energia mai cessato o diminuito al trascorrere degli anni, sebbene le sonorità si siano in parte addolcite rispetto all’epopea di Mother’s Milk o di Blood, Sugar, Sex Magic.

A giudicare dall’accoglienza riservata al gruppo dai 14 mila presenti all’arena Unipol di Bologna e al complessivo grado di entusiasmo che ha accompagnato l’ennesimo sbarco dei Red Hot Chili Peppers in Italia, pare che le parole di Kiedis possiedano davvero intenti tutt’altro che promozionali e che il quartetto californiano riesca davvero ad infiammare le platee come anni or sono.

In attesa della replica a Torino della data bolognese, i fan del gruppo potranno probabilmente cimentarsi con lo stesso vasto repertorio e con alcune “chicche” inserite nella scaletta per rendere omaggio a tutti quei gruppi che hanno negli anni ispirano i Red Hot Chili Peppers, partendo dai Balack Flag fino ad arrivare ai Radiohead, passando per il compianto David Bowie, al quale il gruppo ha dedicato una versione di Five Years, utile ad attestare la stima verso il duca bianco e mettere da parte dissapori umani legati la fatto che, a quanto afferma Flea, lo stesso Bowie si rifiutò di produrre i primi lavori del gruppo decadi or sono.

Bel lontana dalle gloriose atmosfere del Coachella, la prima data italiana dei Red Hot Chili Peppers ha dunque segnato l’effettivo rilancio del gruppo a seguito di alcune disavventure live e discografiche (emblematica fu la difficile condivisione del palco con gli At the Drive In verso la fine degli anni’90), proiettando quegli eterni ventenni al riparo da critiche e da quell’etichetta di vecchie glorie che mal si addice a tutta quella vitalità.

 

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