Se nessuno al mondo nega che la vita sia il dono più prezioso del quale disponiamo, il concetto di “vita” stesso è sottoposto, nel corso degli anni e dal corso degli eventi, ad una serie quasi infinita di estensioni, mutazioni e alterazioni che rendono necessaria una riflessione collettiva sulla possibilità che, ad un soggetto privato di tutte quelle facoltà che denotano appieno l’esistenza umana, sia concessa la possibilità di lasciare le sue spoglie terrene nel modo meno doloroso e più congeniale alle sue reali volontà.
Senza voler entrare a gamba tesa in un dibattito, spesso ozioso, che tiene banco almeno da 50 anni, incontrando numerose resistenze e orecchie da mercante disseminate lungo i salotti buoni bi-partisan della politica nostrana, è sufficiente osservare come il fenomeno legato alle migrazioni a scopo di eutanasia stia cessando di rappresentare una sporadica eccezione per divenire l’ultima ancora di salvezza per tutti coloro che si trovano in cerca della “dolce fine”.
L’episodio di Dj Fabo che ha tenuto banco su tutti i media nazionali negli ultimi giorni non è infatti che una punta di un icebrerg (particolarmente tragica a causa dell’età del ragazzo) che vede ogni anno oltre 100 cittadini italiani intenti ad attraversare il confine alpino per trovare sollievo nella legislatura svizzera, decisamente più incline ad accogliere le istanze dei soggetti a favore dell’eutanasia.
Stando alle stime esposte dall’Associazione Luca Coscioni, nel corso del 2015, 232 cittadini italiani avrebbero chiesto informazioni all’associazione in questione relative alla pratica svizzera nota come “Morte Volontaria Assistita” e, una volte ottenuti informazioni e contatti, 115 malati avrebbero deciso di compiere l’iter verso al Svizzera, con alcuni cambi di idea inclusi.
Secondo la prassi protocollare vigente, dopo aver fatto richiesta per ottenere la “dolce morte”, le autorità sanitarie locali tentato di dissuadere il facente richiesta il più a lungo possibile, salvo poi cedere alla volontà definitiva del malato e consentirgli quella dolce morte che per DJ Fabo è risultata alla stregua di una liberazione e il movente per lanciare un atto d’accusa nei confronti dello Stato italiano, paragonato dal giovane ad un inferno medico e burocratico.
Premesso che per esprimere un giudizio morale ed umano sulle vicende di coloro che cercano l’eutanasia occorrerebbe quantomeno provare esperienze analoghe e calarsi nei proverbiali panni dei malati (da qui la necessità di stendere un velo pietoso sui commenti di segno opposto piovuti sui social networks), la questione in discussione non è più quella relativa all’opportunità o meno di proseguire in un percorso clinico che molto spesso sfiora l’accanimento terapeutico, ma di cercare di regolamentare un fenomeno già in atto e di giungere ad una mediazione utile ad impedire ulteriori sofferenze burocratiche a chi ha già sofferto di suo e che, forse, possiede un’ideale di “Vita” più allargato o ristretto di quello con il quale siamo abituati a misurarci nel corso della nostra quotidianità.