In base uno schema ormai ampiamente consolidato attraverso decenni di esperienza, la società industriale immette costantemente sul mercato generi di consumo, prodotti farmaceutici e dispositivi elettronici destinati all’uso quotidiano, salvo poi domandarsi (rigorosamente a posteriori) se quegli stessi prodotti possiedano o meno effetti nocivi per la salute umana,
Dopo sigari e sigarette, intere categorie di farmaci antidepressivi e telefoni cellulari, a finire sul banco degli imputati è ora il moderno sistema di trasmissione di tifo Wi-fi, ritenuto completamente innocuo dalla maggior parte della comunità scientifica e osteggiato da un gruppetto di dissidenti, secondo i quali le onde elettromagnetiche che attraversano costantemente il nostro corpo, bene non fanno senz’altro.
Senza voler entrare nel merito di un disputa che si concluderà (forse) solo tra una ventina di anni, ci limitiamo ad osservare come uno studio compiuto dalla University of California faccia registrare una sostanziale avanzata del campo dei “detrattori” stabilendo la pericolosità dei sistemi Wi-fi per i soggetti in età pediatrica.
Secondo i medici americani, un’esposizione prolungata alle radiazioni emesse dai dispositivi wireless comporta infatti l’aumento di un rischio legato allo sviluppo di particolari forme tumorali, secondo uno schema progressivo che vede i fattori di pericolo aumentare a fronte della ridotta età dei soggetti esposti.
I ricercatori hanno esaminato la capacità dell’organismo umano di assorbire le radiazioni emesse da dispositivi wi-fi (ma anche televisori, forni a microonde e smartphones), scoprendo che la particolare conformazione cranica di bambini e feti, dovuta alla presenza di tessuti più sottili, comporta una minor protezione di fronte alla minaccia di rappresentata dai campi elettromagnetici a radiofrequenza definiti come Gruppo B, la cui possibile valenza cancerogena è oggetto di studio e dibattito in senso alla comunità scientifica ormai da lungo tempo.
In sostanza, lo studio pubblicato sul Journal of Microscopy and Ultrastructure, non solo pare avvalorare la tesi relativa alla tossicità dei campi elettromagnetici prodotti dai dispositivi comunemente in uso, ma (attraverso una simulazione al computer) ne definisce lo spettro d’azione sulle varie categorie umane, stabilendo fattori di rischio enormemente aumentati per donne in gravidanza e bambini in età pediatrica.
Secondo i ricercatori, le forme tumorali che si sviluppano a partire dall’esposizione al Wi-fi posseggono una latenza molto ampia e restano confinate ad una forma asintomatica e nascosta per molti anni prima di manifestarsi allo stadio di patologia conclamata, risultando così difficilmente tracciabili.
Pur ponendo doverosi condizionali e punti di domanda sulla controversa ricerca californiana, sfugge in questa sede la ragione per la quale ricerche analoghe non siano state compiute prima che le grandi aziende operassero la riconversione dell’intera umanità alle gioie della trasmissione Wi-fi, ma questi, in fondo, sono gli inconvenienti di vivere in una società post-industriale, felice e produttiva.