
Probabilmente non esiste parametro migliore per definire la povertà di quello rappresentato dalla spesa sanitaria individuale, dal momento che, a fronte di contingenze difficili, tagliare quanto risulta indispensabile rappresenta l’ultima istanza per cittadini e famiglie alle prese con una crisi sempre più annosa e con un sistema sanitario sempre più incomprensibile.
Al di là di annunci sensazionalistici e denunce più o meno credibili, il rapporto annuale del Censis ha fornito il ritratto di un’Italia sempre più costretta a rinunciare alle cure sanitarie per via dell’elevato costo delle terapie e delle difficoltà di accedere alle prestazioni gratuite, il che rende il nostro Paese sempre più stretto in una morsa che prevede, da un lato, la presenza di eccellenze sanitarie private carissime e dall’altro di un ampio comparto pubblico piuttosto inefficiente o percepito come tale.

Se nel corso dell’ultima rilevazione effettuata (targata 2012) il numero di coloro che avevano ammesso di aver rinunciato a prestazioni sanitarie e farmaci per via degli oneri troppo elevati raggiungeva i nove milioni di unità, il progredire della crisi economica ha spostato al soglia in direzione degli 11 milioni di cittadini, facendo apparire sempre più allarmante il disamore nei confronti della sanità di casa nostra.
Il rapporto presentato nel corso del sesto “Welfare Day” ha infatti evidenziato il consueto ampliamento della forbice sanitaria con un aumento esponenziale della spesa privata (pari a 3,2 punti percentuali in due anni) per tutti coloro che possono permettersi l’accesso a cliniche ed istituti non convenzionati e il parallelo abbandono delle cure presso tutti coloro che invece non si trovano a poter investire ingenti capitali e non vogliono finire relegati all’interno del girone dantesco delle liste d’attesa, percepite come deterrente alle cure pubbliche dal 72,6% degli intervistati.
Particolarmente accentuato tra i giovanissimi e i pensionati, il fenomeno della rinuncia alle cure sta dunque andando ad ampliare il suo raggio d’azione, in attesa che il comparto statale si dia da fare per lenire l’impatto della burocrazia e per migliorare la sua efficienza sul territorio, andando così a garantire le cure del caso persino a quella fascia di popolazione che può ormai tranquillamente venire annoverata all’interno della categoria definita dal sostantivo “povertà”.
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