Se la presenza di batteri in grado di resistere alle comuni terapie antibiotiche e un’igiene non proprio da primato hanno trasformato i reparti di terapia intensiva dei nostri ospedali in ambienti decisamente pericolosi, pare che il rischio legato alle infezioni stia andando a coinvolgere sempre più anche la sfera neonatale, con conseguente allarme sanitario dettato dall’ovvia incapacità di un organismo appena nato di difendersi dalla minaccia e dalla difficoltà di tentare approcci terapeutici in caso di infezione contratta.
A fronte di tragiche stime che prevedono il 36% dei decessi neonatali su scala globale attribuiti ad infezioni (e dunque tranquillamente evitabili con i dovuti accorgimenti), pare infatti che i reparti di neonatologia presenti nel nostro Paese non risultino immuni dal rischio e che siano, al contrario, tra i più colpiti dalla tragica eventualità.
Analizzando una vasta casistica risalente all’anno 2012, il presidente della Società Italiana di neonatologia (sin), Mauro Stronati, ha infatti potuto constatare come oltre 7 milioni di neonati sono stati sottoposti a terapie ideate per contrastare infezioni contratte in sede ospedaliera e come, se la maggior parte degli interventi terapeutici ha raggiunto l’obiettivo, il ricorso a terapie antibiotiche ha dato il “la” alla pericolosa spirale in grado di aumentare la pericolosità dei batteri.
Come ribadito ormai da anni a gran voce dall’Oms e da tutte le istituzioni sanitarie associate, la nuova emergenza batterica che si appresta a colpire il Pianeta trova la sua radice ultima in un ricorso agli antibiotici assolutamente infondato e alla conseguente capacità dei batteri di adattarsi alla terapie in uso fino a divenire resistenti alla quasi totalità dei farmaci in commercio, per via di un’assuefazione che ha consentito mutazioni genetiche plurime nei microrganismi.
In sostanza, la tendenza a prescrivere o somministrare farmaci antibiotici quando non vi è nessun bisogno (cioè in caso non sussistano le condizioni per postulare un’infezione batterica) sta comportando la genesi di nuove classi batteriche molto più resistenti e la possibilità che i luoghi ospedalieri italiani si trasformino presto nell’ambiente ideale alla loro proliferazione, andando a comprendere persino quei reparti neonatali dove l’emergenza risulta logicamente amplificata.
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