
Forse a causa di una letteratura cinematografica all’insegna di alieni ed extraterrestri, forse a causa della sovraesposizione mediatica alle immagini di bombardamenti, siamo per nostra natura portati a ritenere che i maggiori pericoli per la nostra incolumità siano destinati ad arrivare dal cielo, salvo poi scoprire che mentre guardavamo in alto, qualcuno ha pensato bene di avvelenare il bacino idrico sottostante, di sotterrare illegalmente rifiuti tossici o di costruire discariche abusive.
Nella galleria degli orrori relativa agli avvelenamenti nostrani, un posto d’onore ricopre sicuramente ilcaso di Bussi sul Tirino, riguardante la costruzione di una discarica abusiva all’insegna di materiale talmente tossici da trasformare rapidamente le falde acquifere circostanti in una sorta di confezione formato famiglia di veleno per topi, con le ovvie conseguenze per la salute degli abitanti.
Giusto per sommare orrore ad altro orrore, tutti i 19 imputati sono stati prosciolti dall’accusa di avvelenamento doloso in virtù di una sentenza che ha stabilito insindacabilmente l’assenza di un movente tale da giustificare il disastro ambientale su larga scala protratto ai danni della comunità di Bussi.
Sfogliando l’originale sentenza di 190 pagine scritta dal presidente d’Assise Camillo Romandini e dal giudice a latere Paolo Di Geronimo si apprende che gli imputati, tutti facenti capo alla Montedison, non potevano essere responsabili dell’accaduto in quanto non vi sarebbe stata nessuna forma di ritorno economico dalla creazione della discarica, né un interesse personale tanto forte da spingerli allo sciagurato gesto; per cui è lecito ipotizzare che il disastro ambientale non possa essere messo in una relazione di tipo causale con l’operato dell’azienda incriminata.
Senza volere entrare troppo nel merito di una sentenza specifica che non ci permettiamo di giudicare, non possedendo le informazioni e le competenze necessarie, fa comunque specie come una diffusa logica di impunità paia legittimare le peggiori azioni perpetrate ai danni dell’eco-sistema e comel’assenza di responsabilità reali e di ambiti di competenze appaia spesso come la sottile linea rossa in grado di collegare Bussi a Taranto e ad altre centinai di luoghi, resi invivibili da una politica del profitto spregiudicato.
In attesa che qualcuno stabilisca finalmente a chi o a cosa si deve il disastro ambientale di bussi, non resta dunque che rivolgere gli occhi al cielo, in attesa di un’ennesima minaccia che forse non arriverà mai.
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