L’ideazione della medicina e di tecniche di riscaldamento in grado di porre l’umanità al riparo dai rischi legati al troppo freddo, hanno fatto sì che l’evoluzione si arrestasse in larga parte a quell’epoca in cui l’Homo Sapiens Sapiens si trovava ad essere cacciatore-raccoglitore e in cui la scelta di un alimento potenzialmente velenoso poteva rivelarsi fatale per la sua sopravvivenza e per quella del suo nucleo sociale.
Per questa ragione, ancora oggi, il nostro cervello tende a mandarci una serie di imput che ci portano, di primo acchito, a rigettare un cibo in base alla sua presunta pericolosità e a prediligere tutti quegli alimenti che, già da un primo impatto visivo, si configurano come sani e privi di pericoli, portandoci inconsciamente a prediligere, ad esempio, i frutti di colore rosso rispetto alle verdure verdi, colore atavicamente associato a veleni e pericoli.
Benché ampiamente postulato da ricerche decennali, l’assunto è stato dimostrato in modo definitivo da un ricerca condotta dalla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (Sissa) di Trieste che ha mostrato come, oltre al sopracitato fattore di pericolo, nella scelta di un cibo in base alla sua colorazione intervengano fattori legati all’apporto calorico dell’alimento che ci spingono in direzione di quei cibi in cui i bilancio energetico risulta di segno positivo.
Il fatto che, se sottoposta ad una scelta, la nostra parte istintuale ci spinga in direzione di una mela piuttosto che di un piatto di broccoli deriva infatti dal fatto che i nostri geni conservano memoria degli elementi nutritivi presenti nelle due tipologie alimentari e che a parità di “fatica” preferiscano dedicarsi ad un frutto in grado di offrire maggiori quantitativi energetici a fronte della tempistica necessaria alla sua consumazione.
La ricerca pubblicata su Scientifc Repotrts ha inoltre mostrato una predilezione per i cibi cotti rispetto a quelli crudi, sempre legata al fatto che gli embrionali sistemi di cottura garantivano la totale eliminazione dei batteri presenti in natura e ponevano dunque l’uomo cacciatore-raccoglitore al riparo da rischi legati ad intossicazioni e infezioni.
Logicamente, la scoperta non costituisce regola generale, dato che il subentrare di processi cognitivi sempre più affinati ha consentito all’uomo di razionalizzare le sue scelte alimentari nel corso delle ultime decine di migliaia di anni e di sopperire attraverso la ragione a quella componente evolutiva arrestasti ere fa, ma ancora presente nella memoria dei nostri geni.
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