Quando riaffiorano alla mente gli anni’80 e gli eccessi di un’epoca storica segnata dalla continua ricerca al benessere e da un mondo che garantisse l’accesso al lusso anche per coloro che ne erano rimasti per decenni nelle immediate periferie, nulla rende meglio il concetto di due autovetture destinate ad una rapida parabola affettiva e commerciale: la Ferrari Mondial e la Maserati Biturbo.
Se la vettura pop di Maranello ha rappresentato tuttavia una rapida parentesi nella storia del Cavallino, subito dimenticata e archiviata, il modello “economico” immesso sul mercato da Maserati è parso all’epoca come un disperato tentativo di risollevare le sorti di un marchio da lungo in crisi e da tempo alla ricerca di una soluzione in grado di garantirne la sopravvivenza.
A distanza di quasi trent’anni dai giorni della Biturbo e della rincorsa disperata al popolo yuppie, Maserati può festeggiare oggi i suoi primi cent’anni e il ritorno in pompa magna alle fasce di mercato che da sempre competono al glorioso marchio modenese, fondato il primo dicembre 1914 dalla passione dei fratelli Ettore ed Ernesto.
Nata come Officina Alfieri Maserati durante un’epoca che ha conosciuto il fiorire di marchi e industrie destinati all’oblio nel giro di pochi decenni, Maserati ha saputo ritagliarsi un posto a parte nella grande storia dell’automobilismo italiano, cogliendo l’interesse di chi amava il mondo delle corse, senza mai perdere il proprio spirito vocato verso le “vetture di rappresentanza” che hanno contribuito a creare un marchio immediatamente riconoscibile nel mondo e di fatto alternativo a quanto proposto da Ferrari e Lamborghini.
Resa celebre dai trionfi di Ascari e Fangio che hanno contribuito a creare il mito emiliano sfruttando il potenziale delle indimenticate A6 e 250F, Maserati ha saputo a più riprese reinventarsi e cogliere in anticipo le tendenze di un mondo post-bellico nel quale la macchina ha cominciato ad uscire dalla sua semplice dimensione sportiva e agonistica per diventare lo status symbol in grado di definire la volontà di lasciarsi alle spalle gli anni della tragedia e dei razionamenti economici.
A seguito di periodi bui, segnati dalla cessione di quote societarie a Citroen (nel 1968) e del successivo spettro del fallimento, annunciato nel 1973, Maserati si è trovata ad affrontare il decennio chiave degli anni’80 sotto la non eccellente guida di De Tomaso, prima di giungere a tirare il fiato nel 1993, quando Fiat e Ferrari rivelano la società, garantendole comunque quell’autonomia necessaria alla sua sopravvivenza.
Oggi Maserati può vantare la suo attivo la presenza di 1300 dipendenti ed un piano di crescita stimata per il 2018 che prevede la vendita di 75 mila esemplari in tutto il mondo ed un posto di rilievo in quello strano universo Fiat Chrysler dall’interno della quale qualcuno pare essersi accorto che il ricorso alla tradizione può essere più funzionale allo sviluppo di quanto non abbiano fatto numerosi modelli dalle aspirazioni innovative, presentati principalmente sul versante Lancia.
Attualmente, l’azzeccata riedizione della storica Quattroporte pare essere, insieme a Ghibli, il modello attraverso il quale traghettare il marchio verso una nuova fase di splendore, un po’ più vicina al ruolo esercitato da Maserati in passato e un po’ più lontana da quella strana rincorsa ad un benessere pop che ha preso il nome di Biturbo, molti anni or sono.
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