Salute e Benessere
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Il bilinguismo protegge il cervello dal morbo di Alzheimer

1 febbraio 2017
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Il bilinguismo protegge il cervello dal morbo di Alzheimer

Anche se l’apprendimento di un vocabolario bilingue, dovuto alla differente provenienza dei genitori o ad un trasferimento operato subito dopo la nascita, rappresenta una sorta di croce e delizia dell’universo infantile, dato che i bambini posti a contatto con due idiomi imparano a parlare più tardi rispetto ai loro coetanei, numerosi studi hanno ormai attestato come il bilinguismo riesca a trasformare in senso positivo le strutture cerebrali e a produrre un aumento delle facoltà cognitive destinato a riverberarsi ben oltre i confini legati all’espressione linguistica scritta e orale.

Se dunque tutti coloro che si cimentano abitualmente con due lingue differenti si trovano a godere di facoltà cognitive più “elastiche” e possiedono un bagaglio neuronale del tutto invidiabile, pare che i benefici del bilinguismo riescano a coinvolgere anche quella particolare dimensione della salute legata allo sviluppo di patologie neurodegenerative, portando in dono una sorta di protezione offerta al cervello contro al genesi e lo sviluppo del temutissimo morbo di Alzheimer.

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Una recente ricerca condotta dalla dottoressa Daniela Perani, direttrice dell’unità di neuroimaging presso l’Ospedale San Raffaele di Milano, ha infatti mostrato come la capacità di passare in maniera naturale da un linguaggio all’altro offra al cervello una sorta di riserva cognitiva che può venire sfruttata, in caso di insorgenza del morbo di Alzheimer, per garantire la tenuta delle normali facoltà e che comporta dunque, oltre ad una maggiore protezione verso il deterioramento delle strutture, la possibilità di rallentarne lo sviluppo per un periodo pari a 5 anni di tempo.

In sostanza, la ricerca svolta su un campione di individui altoatesini (alcuni dei quali bilingue) ha mostrato che il bilinguismo riesce a ritardare lo sviluppo del morbo in virtù di quella medesima elasticità mentale che offre una serie di neuroni di riserva alle facoltà cognitive e che funge da serbatoio per conferire nuova linfa vitale alla sfera della memoria e della comprensione, qualora le facoltà vengano messe a dura prova dall’incedere di una patologia neurodegenerativa.

Secondo gli autori dello studio pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences, la ragione del nesso risiederebbe in una componente psicologico-cognitiva più avanzata che consentirebbe ai pazienti bilingue di comprendere più a fondo la natura del morbo che li ha colpiti e di mettere così in atto strategie atte a rallentarne lo sviluppo, mostrando così un ulteriore delizia per quel bilinguismo che si pone come croce solo nelle primissime fasi di vita dei bambini.

 

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