Salute e Benessere
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Ragazzo muore a 19 anni perché gli negano trapianto di polmoni

27 Aprile 2017
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Ragazzo muore a 19 anni perché gli negano trapianto di polmoni

In linea di massima, il comparto sanitario delle maggiori nazioni industrializzate è concepito secondo uno schema finalizzato ad aiutare i soggetti malati e bisognosi, a prescindere dalla loro pregressa storia personale e dal fatto che la patologia contratta trovi origine in una cattiva abitudine o in un vizio che poteva risultare tranquillamente evitabile col proverbiale senno di poi.

Se dunque le cure del caso non si negano mai nemmeno ai tossicodipendenti e agli aspiranti suicidi, può accadere che il mondo debba assistere sgomento al decesso di un ragazzo di soli 19 anni, morto perché le autorità sanitarie americane gli hanno negato la possibilità di accedere a quel trapianto di polmoni che avrebbe agevolmente potuto risultare funzionale al salvataggio della sua vita.

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Dopo aver riscontrato tracce di Thc (il principio attivo della marijuana) nei polmoni del ragazzo, i medici facenti capo alla University dello Utah hanno infatti stabilito che il giovane Riley Hancey non “meritava” di ricevere il fatidico trapianto di polmoni e che poteva agevolmente venire lasciato morire a causa della polmonite che aveva contratto pochi giorni prima e che lo aveva condotto in direzione del ricovero d’urgenza.

Il fatto di aver fumato uno spinello poco prima dell’inizio della degenza ha infatti portato i medici ad applicare alla lettera quella particolare linea guida dell’Oms che prevede i soggetti positivi ad alcol e sostanze stupefacenti come potenzialmente non idonei a ricevere un trapianto e deciso di non procedere con quell’operazione che era già stata preventivata dalla struttura.

Secondo la testimonianza del padre del ragazzo, Riley avrebbe fumato un unico spinello in vita sua in compagnia degli amici, ma il fatto che fosse o meno un consumatore abituale non dovrebbe influire sulla vicenda e sull’applicazione pratica di quell’antico giuramento di Ippocrate che obbliga i medici a salvare la vita dei loro pazienti con ogni mezzo possibile, a prescindere dall’opinione personale che possono avere riguardo la loro pregressa storia clinica e nei confronti di quei vizi che sono spesso cagione dei loro mali.

 

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