Il giorno in cui Crisotoforo Colombo decise di partire alla volta delle Indie con le su tre caravelle, tutto avrebbe potuto immaginare, tranne di scoprire una terra ancora Ignota dalla quale si originavano prodotti agricoli destinati ad accendere un dibattito in Occidente durato oltre 500 anni e ancora lontano dal vedere la sua naturale conclusione.
Se, per quanto riguarda pomodoro e tabacco pare che siamo finalmente giunti ad un consenso unanime (fatta eccezione per le solite voci fuori dal coro), il caffè è tutt’ora al centro dell’attenzione medica per i suoi reali effetti sulla salute umana e per un’infinita lista di (presunti) vantaggi e (presunti) svantaggi, alla quale si va ad aggiungere in queste ore la capacità della bevanda di preservare la nostra memoria di fronte all’incedere spavaldo degli anni e della minaccia rappresentata dal morbo di Alzheimer.
Stando a quanto sostiene uno studio condotto dall’Institute for Scientific Information on Coffee (Isic), consumare una dose quotidiana compresa tra le tre e le cinque tazze di caffè, comporterebbe una diminuzione del rischio legato all’insorgenza del morbo di Alzheimer fino al 20%, tutt’altro che marginale se si considera l’importanza del ruolo esercitato da fattori di tipo ambientale nella genesi della patologia.
La ricerca, confermata da un ulteriore test condotto dalla John Hopkins University, troverebbe la sua spiegazione nel ruolo esercitato dalla particolare combinazione di caffeina e polifenoli contenuti nel comune caffè ad uso alimentare, ai quali si devono (rispettivamente) la capacità di bloccare la formazioni di placche amiloidi che danno origine alla malattia e la facoltà di preservare la memoria a lungo termine in virtù ad un’azione antiossidante.
Se gli effetti positivi sulla memoria del caffè erano noti già da tempo e venivano confermati da una lunga serie di test di tipo mnemonico condotti su alcuni volontari ai quali venivano somministrati, in alternativa, 200 mg di bevanda o una sostanza placebo, la grossa novità della ricerca consiste nell’essere riuscita ad individuare i benefici della particolare combinazione di sostanze presente nel caffè e nell’aver scoperto un’interazione tra caffeina e polifenoli ancora ignota.
Secondo numerosi istituti di ricerca (Alzheimer’s Research UK in testa) tuttavia, le evidenze riportate dall’Institute for Scientific Information sarebbero troppo deboli per istituire un’effettiva correlazione di tipo causale tra consumo di caffè e morbo di Alzheimer, basando i dati ottenuti su una semplice componente osservazionale, del tutto insufficiente a fungere come parametro effettivo per poter quantificare l’azione della caffeina nel processo di genesi della patologia (da qui il punto di domanda nel titolo).
Sebbene la recente scoperta faccia eco a numerosi studi che muovono in direzione analoga, pare che il consenso della comunità scientifica riguardo ai reali effetti del caffè sul nostro organismo sia ancora ben lungi dall’essere raggiunto e che la diatriba relativa a caffè e protezione della memoria imporrà nuove ricerche capaci di prendere in esame un arco temporale più ampio, almeno quanto quello che è servito a Cristoforo Colombo perchè si rendesse conto di dove fosse giunto davvero e di ciò che ne sarebbe conseguito nei secoli a venire.
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