Fino a una trentina di anni fa buona parte dell’opinione pubblica (soprattutto americana) riteneva che il dilagare della violenza urbana e domestica fosse in parte ascrivibile ad un’ampia produzione cinematografica splatter che, nell’opinione di benpensanti, spingeva ragazzini e adolescenti assolutamente tranquilli in direzione di una pericolosa emulazione, come se bastasse la scena di un film a trasformarci tutti in aspiranti serial killers e come se i nostri figli avessero subito una lobotomia di massa che li ha resi incapaci distinguere la realtà dalla finzione.
Superata la sbornia della censura televisiva, la scure è tornata recentemente ad abbattersi in direzione delle emoticon, a cui viene attribuito addirittura il potere di produrre discriminazioni di tipo razziale o di favorire l’insorgere di disturbi alimentari nei più giovani, sulla base della loro (estremamente presunta) capacità di manipolare la psiche umana e di influenzare le menti più deboli.
Un’utente di Philadelphia, tale Catherine Weingarten, è infatti rimasta talmente turbata dalla presenza di un emoji paffutella su Facebook da indire una petizione online contro il popolare social netwrok per spingere Zuckerberg e compari a rimuovere dal loro sito l’immonda faccina, prima che milioni di adolescenti decidano di abbandonare pizza e lasagne ispirati dall’emoji tondeggiante.
La signora in questione, vittima in passato di disturbi alimentari, ha trovato l‘emoticon “mi sento grasso†profondamente offensiva nei confronti di tutti i soggetti bulimici e anoressici e obiettato che la grassezza (o la sua errata percezione) non rientra nella categoria degli stati d’animo e dunque non esiste ragione alcuna per essere considerata tale su Facebook.
Premesso che, come l’utente in questione saprà benissimo, anoressia e bulimia sono patologie psichiatriche che trovano il loro terreno di insorgenza in carenze di tipo affettivo e nella presenza di problematiche relazionali ataviche, sfugge in questa sede come una faccina gialla, asessuata e impersonale, risulti funzionale all’instaurarsi di meccanismi tali da spingere giovani e adolescenti in direzione del rifiuto del cibo e della chiusura emotiva tipica dei pazienti affetti da disturbi dell’alimentazione.
La trovata di Facebook è probabilmente risultata incauta e scarsamente motivata, ma la sola idea di giungere ad istituire un nesso causale tra un’emoticon e la manifestazione di una data patologiarisulta quantomeno astrusa e dalle velleità inutilmente censorie.
In caso comunque qualcun altro decida di sentirsi offeso dalla grassa emoji di Facebook, la petizione si trova sul sito change.org, alla voce “Remove the ‘Feeling Fat’ Emoticon Option”, dove risulterà possibile aderire alla crociata contro la faccina cattiva e pensare, per un attimo. che decenni di pessimi modelli estetico-culturali e sottovalutazione medica di fenomeni di tipo alimentare scompariranno per magia, insieme ai bambini trasformati in serial killer dai film dell’orrore e dalla violenza nelle nostre città .
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