Da quanto è stato proclamato il presunto califfato islamico, migliaia di altrettanto presunti ribelli facenti capo all’Isis (o Isil o Is, che dir si voglia) hanno deciso di voler ricondurre gran parte dei paesi che si affacciano verso il bacino del Mediterraneo sotto l’ala protettrice dell’Islam, Italia inclusa, anche se nessuno ha capito sulla base di quali ragioni storiche o religiose.
Se la tanto sbandierata guerra santa non ha (fortunatamente) fin qui prodotto effetto alcuno nei confronti della vita democratica della Repubblica Italiana, i ribelli informatici del SEA (Syrian Electronic Army) sono tuttavia riusciti a condurre un attacco nei confronti del sito Repubblica.it che, al pari di numerosi quotidiani di informazione internazionali, si è ritrovato questa mattina con la presenza di un insolito pop up in home page, recante la sigla del gruppo cyber-terroristico siriano accompagnata dalla ben poco equivoca dicitura in lingua inglese :†You’ve been hacked by the Syrian Electronic Armyâ€.
A finire nel mirino sono state anche numerose testate inglesi e americane (Telegraph, Forbes, The Independent e Cnbc su tutte), colpite da un attacco simultaneo condotto su scala planetaria che ha trovato il proprio bersaglio d’elezione nella compromissione e nella manipolazione di alcuni codici informatici composti dalla società americana Gigya, che dispone di numerose filiali in Israele (il che ,se non spiega tutto, fornisce quantomeno un indizio) e che rendono possibili le funzioni di commento sui siti hackerati.
In pratica, pare proprio che il sedicente gruppo di ribelli siriani non affiliati a nessuna organizzazione governativa locale, volesse colpire proprio la società americana, “rea†di produrre in Israele e che i siti hackerati svolgessero più la funzione di “cavallo di troiaâ€, attraverso il quale mostrare al mondo la vulnerabilità di Gigya, più che il reale bersaglio dell’attacco informatico.
Logicamente, è ancora troppo presto per trarre conclusioni esatte e per decifrare le reali intenzioni degli hacker siriani, anche se la presenza dei codici di Gigya su tutti i siti colpiti pare porsi come l’unico comun denominatore tra le testate colpite, molto eterogenee tra loro per indirizzo politico e localizzazione geografica e dunque difficilmente riconducili ad un’unica strategia d’attacco.
Non è ancora chiaro, inoltre, se il Sea costiuisca un costola informatica dell’Isis, oppure se sia un gruppo di pirati informatici che agisce in modo autonomo rispetto ai guerriglieri del califfato; l’unica cosa certa è che le ragioni dell’azione sono riconducibili all’ampio spettro ideologico della presunta guerra santa, divenuta ormai talmente presunta da doversi spostare all’interno dei profani computer e degli empi server si tutto il mondo.