Il recentissimo caso di un madre che ha abbandonato sua figlia per ore all’interno di un’automobile rovente, provocando in modo indiretto il decesso della piccola e suscitando infinite ondate di cordoglio e sdegno, testimonia non solo quanto i pericoli per la sopravvivenza dei nostri piccoli si trovino dietro ad ogni proverbiale angolo, compreso quello apparentemente sicuro che congiunge il seggiolino auto e il sedile, ma come la mente umana, in situazioni di grave stress possa operare rimozioni e amnesie in modo del tutto spontaneo, portandoci a dimenticare quanto di più importante esista al mondo senza apparente spiegazione.
Se il fenomeno legato a temporanee amnesie rappresenta per fortuna un’eventualità piuttosto remota e sporadica in età adulta (salvo in caso di autentiche condizioni patologiche), la rimozione continua di ricordi costituisce invece la norma più assoluta per un universo infantile alle prese con la necessità di gestire ed elaborare un numero abnorme di informazioni e di scartare continuamente tutto quanto viene giudicato superfluo al conseguimento delle abilità necessarie allo sviluppo e alla crescita.
Provando a chiudere gli occhi e a riportare alla galla il primo ricordo che ci viene in mente relativo alla nostra infanzia, cercando nel contempo di collocarlo in prossimità di un arco temporale piuttosto preciso, può dunque accadere di percepire una sorta di vuoto totale relativo alle fasi antecedenti ai due anni e mezzo, magari inframmezzate da qualche vago episodio che potrebbe non essersi davvero verificato o che potrebbe essere frutto della nostra fantasia dato che, laddove la mente non trova spiegazioni, tende agevolmente ad inventarne e che dunque i falsi ricordi d’infanzia non sono il frutto di qualche devianza psicologica, ma la norma più assoluta.
In caso vi domandiate dunque cosa potrà mai ricordare un giorno il vostro bimbo di tutte le premure che quotidianamente riversate su di lui durante i primissimi anni della sua esistenza, la risposta la quesito si pone di conseguenza piuttosto ambigua, anche se la formazione dei ricordi nei bambini è un fenomeno cerebrale piuttosto complesso e non è affatto escluso che rimangano tracce a livello inconscio ed emotivo delle sensazioni avvertite prima degli anni della scuola materna e della formazione di un apparato mnemonico sempre più efficiente e in grado di suddividerle informazioni  lungo un arco temprale nitido e basato sulla naturale disposizione degli eventi in rodine cronologico.
Nel cervello di un adulto, la produzione dei ricordi è delegata a due distinte funzioni che consentono, rispettivamente di elaborare la memoria definita come “a breve termine†e quella invece “ lungo termineâ€, che determina la genesi di autentici ricordi vividi e ed immutabili nel tempo, salvo in caso qualche forma di patologia neurodegenerativa non sopraggiunga a rovinare il prezioso patrimonio accumulato negli anni.
Il meccanismo che ci consente, ad esempio, di ricordarci dove abbiamo lasciato la macchina in un dato momento, per poi poter salutare per sempre l’inutile informazione una volta tornati a casa, prende il via da una zona del cervello nota come giro dentato dell’ippocampo in cui continuano a sorgere nuovi neuroni (è l’unica porzione del cervello in cui si verifica la neurogenesi anche in età adulta) che permettono di immagazzinare le informazioni necessarie per brevissimi periodi, senza che avvenga il loro passaggio nel lungo termine.
In sostanza, ogni giorno sorgono nuovi neuroni nel nostro cervello, la cui funzione è quella di aiutarci a ricordare per brevi periodi le specifiche contingenze per poi abbandonarle e solo gli eventi percepiti come davvero salienti dalla nostra mente, sulla base del nostro complesso emotivo e dei nostri interessi, accede allo stauts di ricordo vero e proprio e ci accompagna fino a quando le informazioni possono rivelarsi utili alla nostra sopravvivenza e al nostro diletto, per periodi più o meno brevi a seconda del fatto che i ricordi in questione possano tornarci utili per lo svolgimento di un determinato lavoro o rimandino a momenti che non vorremmo mai scordare.
Nei bambini in età prescolare la suddetta distinzione tra memoria a breve e lungo e termine è quasi assente, così come la costituzione cerebrale che permette di ricordare un dato evento ed accade così che, man man che si cresce, si tende a mettere in soffitta i ricordi relativi ai primi giochi o alle coccole con mamma e papà come se si trattasse di informazioni inutili, almeno quanto quelle relative all’esatta ubicazione dell’autovettura la settimana scorsa o a quella dei fazzoletti di carta lo scorso inverno.
Il fenomeno, noto molto prima della scoperta del giro dentato dell’ippocampo, prende il nome di amnesia infantile è ed stato scoperto e formalizzato in concomitanza con l’invenzione della moderna psicologia, durante l’epoca storica compresa tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900, sulla base dell’ovvia constatazione che quasi nessuno ricordava gli eventi salienti della sua primissima infanzia e che doveva per forza esistere una sorta di meccanismo alla base della rimozione dei ricordi.
Come premesso, l’amnesia infantile è quella tendenza operata dal cervello a rimuovere ricordi acquisti durante i primi tre anni di vita e mantenere nel contempo, solo quelle nozioni acquisite in base alle quali il proseguo dello sviluppo e della crescita risultano effettivamente possibili.
Provando a chiedere ad un bambino di sei o sette anni cosa si ricorda dei suoi primi giochi o della fasi relativa all’allattamento, il soggetto intervistato rimarrà in completo silenzio, oppure proverà ad inventare qualcosa che fornisca una spiegazione poco plausibile per l’amnesia, ma risulta al contempo evidente, che la suddetta rimozione non ha investito gli aspetti della memoria legati alle abilità e che il bimbo non ha affatto dimenticato come si cammina, come si manipolano gli oggetti come ci si esprime correttamente nella sua lingua di riferimento.
Limitato dunque alla formazione dei ricordi veri e propri, il fenomeno noto come amnesia infantile pare inoltre privo di reali motivazioni biologiche ed evolutive, se si considera che, come testimoniato da ampie ricerche, la maggior parte dei nostri ricordi in età adulta riguardano il primo terzo della nostra esistenza e che dunque l’eliminazione di una fase così importante della nostra vita sembrerebbe tradire la funzione della memoria, perennemente rivolta in direzione di un passato felice.
Piaccia o meno, l’amnesia infantile rappresenta tuttavia una realtà di fatto che potrebbe trovare la radice ultima proprio nell’attività dell’ippocampo, anche se in merito a tempistiche e modalità esatte con cui i primi ricordi prendono forma non vi è al momento alcun consenso unanime della comunità scientifica mondiale e si dibatte animatamente sull’età esatta in cui si formano i primi ricordi dei bambini.
Se da Freud in poi, la psicologia classica ha sovente negato che potessero formarsi dei ricordi reali risalenti a prima del compimento del terzo anno di età e sostenuto che la memoria a lungo termine va via via affinandosi durante il periodo compreso tra 3 e 5 anni di età , recenti evidenze parrebbero smentire l’ipotesi iniziale e lasciare aperta la strada che prevede la formazione dei ricordi in età infantile molto più precoce e vincolata a cause esterne.
Nuovi studi hanno infatti attestato come sia possibile identificare ricordi risalenti al secondo anno di vita ed ipotizzato l’esistenza di un contesto ambientale all’interno del quale il processo di sedimentazione dei ricordi può venire favorito, anticipato e stimolato dalla corretta interazione con il piccolo.
Andando ad agire in modo soft sulla sfera mnemonica dei bambini di età inferiore ai due anni risulterebbe cioè possibile accelerare il passaggio che conduce alla conservazione delle informazioni acquisite e che permette la creazione di autentici ricordi, destinati ad accompagnare il bambino anche in età adulta e a diventare imperituri (quasi) quanto quelli legati al primo bacio, al giorno del diploma o al conseguimento della patente di guida.
La strategia migliore da adottare per favorire la formazione dei ricordi infantili, a detta di psicologi e psicoterapeuti, è dettata dalla capacità di lasciare sedimentare il ricordo parlandone col bambino, di modo che, se si è deciso, ad esempio, di portare al mare un bimbo di due anni o poco più, il riproporre al piccolo l’esperienza in forma verbale al termine della vacanza aiuterà a stabilizzare la sua sfera emotiva e a consentire di ripensare alla gita, fino a consentire di trasformare il mare in autentico ricordo e non in un insieme di vaghe sensazioni corporee che scemano al passare degli anni.
Premesso che, come spesso accade in materia di psiche, le evidenze in merito sono comunque scarse e basate su indagini statistiche, l’amnesia infantile e la conseguente impossibilità di ricordare con precisione quel meraviglioso periodo fatto di coccole e giochi non è purtroppo che uno dei tragici scherzi che la mente può giocarci nel corso della nostra vita, anche se, fortunatamente, meno tragico rispetto all’oblio di una povera bimba in automobile sotto il sole rovente.
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